Parrocchia San Pietro apostolo in San Pietro all'Olmo
Parrocchia Santi Giacomo e Filippo in Cornaredo
Sant'Agata

 
Sant'Agata
vergine e martire
- memoria: 5 febbraio -

 

Agata nacque attorno all'anno 235 da una famiglia cristiana catanese benestante. Andiamo indietro di mille­settecento­ottanta­nove anni e la città faceva parte dell'Impero Romano, governata dal Proconsole Quinziano, uomo superbo che si era circondato da una vera corte nel Palazzo Pretorio; i Cristiani venivano ancora perseguitati, arrestati, torturati e uccisi.
Le grandi persecuzioni cessarono (con qualche eccezione) solo nell'anno 313 in seguito all'Editto di Milano con il quale l'imperatore Costantino concesse libertà di culto, si dice dopo la celebre battaglia di Ponte Milvio vinta contro il rivale Massenzio prima della quale avrebbe visto in cielo una Croce accompagnata dalla frase "In hoc signo vinces" (con questo Segno vincerai).
L'episodio di Ponte Milvio è raffigurato nel grande affresco dietro l'altare nella chiesa di Cascina Croce (a destra del dipinto è raffigurata Sant'Elena, madre di Costantino); in realtà da ­undici anni l'affresco è nascosto dalla grande tela "Cristo in croce con la Madonna, Sant’Antonio e Angeli" recuperata dall'ora­torio che faceva parte del palazzo Dugnani in via Garibaldi e demolito negli anni '50.
Quando aveva circa quindici anni Agata decise di consacrarsi a Dio e il Vescovo di Catania le impose il velo rosso (il flammeum), proprio delle vergini consacrate.
Quinziano ebbe occasione di vedere Agata e se ne incapricciò, tentando invano di sedurla; le affiancò anche una nota cortigiana, Afrodisia, con il compito di "educarla" ma la manovra fallì.
Il Proconsole, infuriato, allora imbastì un "processo" contro Agata che ebbe l'ardire di sostenere di essere "schiava del Cristo". Gli "interrogatori" furono allora accompagnati da feroci torture fino a che alla giovane furono strappati i seni con grosse tenaglie.
Questo sarà il segno distintivo del suo martirio; infatti Agata viene sovente rappresentata con i due seni posati su un piatto.
   
quadro custodito nella chiesa di Sant'Agata al carcere a Catania
e facciata della stessa chiesa
(secondo la tradizione la chiesa sorge nel luogo ove la Santa fu tenuta prigioniera)
Tornata in cella, ad Agata apparve San Pietro e i suoi seni furono risanati. Di nuovo opposta a Quinziano sostenne di essere stata "risanata da Cristo", ciò che al Proconsole suonò come cocente sconfitta, sicché ordinò che la giovane fosse bruciata su carboni ardenti.
Durante questo nuovo supplizio un forte terremoto scosse la città seppellendo due carnefici sotto le macerie del Palazzo Pretorio, parzialmente crollato. La faccenda scatenò la reazione della gente che spinse Quinziano a far riportare Agata nella sua cella, dove però dopo poche ore morì. Malgrado il fuoco, il velo della giovane era rimasto integro e diventò subito una delle reliquie più preziose.
Era il 5 febbraio 251; ed è al 5 febbraio che è fissata la memoria della Santa.
Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciò Catania. Molti cittadini, anche pagani, corsero a prendere il prodigioso velo e lo opposero alla lava, che si arrestò; ecco perché da allora Sant'Agata divenne anche protettrice contro le eruzioni vulcaniche e contro gli incendi (l'episodio accennato dianzi non è rimasto isolato).
Le spoglie della Santa furono poi trafugate e portate a Costantinopoli dove rimasero per una ottantina di anni; furono due soldati (Gilberto, provenzale, e Goselmo, pugliese) che le riportarono in Sicilia. Si racconta che al loro arrivo, la notte del 17 agosto 1126, i Catanesi si riversarono fuori casa per accogliere la loro "Santuzza", e nella fretta andarono con addosso i camicioni bianchi indossati di notte.
Oggi, a Catania, durante le celebrazioni per la Santa viene indossato il "saccu" che si vuole ripreso dai camicioni di quella notte.
il busto e lo scrigno contenenti le reliquie


Sant'Agata è patrona di molti luoghi, taluni dei quali portano il suo nome (anche compatrona della Repubblica di San Marino); certo è che nella città della Santa fanno le cose in grande.

A Catania in febbraio
A Catania si comincia il 3 febbraio con l'offerta della cera; usanza vuole che i ceri donati siano alti e pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Il giorno dopo con un preciso cerimoniale le reliquie della Santa vengono poste sul fercolo, racchiuse in uno scrigno e in un busto, entrambi pregevoli opere di argenteria; il busto è arricchito di molti e preziosi ex-voto (si dice che la corona sia dono del re Riccardo Cuor di Leone).
Il fercolo è genericamente la "macchina" con la quale si portano in processione immagini sacre. Quello di Catania - che lì chiamano "vara" - reca un alto tempietto d'argento lavorato, con sei colonne, nel quale vengono ospitati scrigno e busto; quando è "al completo" può pesare tre tonnellate e viene trainato da qualche centinaio di fedeli vestiti con i tradizionali "sacchi" bianchi. La prima uscita risulterebbe quella del 1519; si tratta quindi di una tradizione vecchia di cinquecento­­cinque anni. Distrutto da un bombardamento nell'aprile 1943, il fercolo è stato ricostruito com'era prima.
Il fercolo con le reliquie viene portato in processione per tutta la giornata, accompagnato dalle "candelore" (cannalore), enormi ceri lignei (roba da 400 a 900 chili) rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno dorato, Santi e scene del martirio, fiori e bandiere, portate a spalla anche da 12 uomini con una particolare andatura ondeggiante ('a 'nnacata). Il percorso si conclude in Cattedrale a notte fonda o addirittura alla prime ore del giorno dopo.
Le cannalore vengono portate a spasso per la città già diversi giorni prima, sostando presso le botteghe dei soci della corporazione cui appartengono.
Si riprende il giorno 5 con il solenne Pontificale e - verso sera - seconda parte della processione per le vie della città vecchia. Punto critico è la ripida e pericolosa salita di San Giuliano; tradizione vuole che riuscire a percorrerla in un' unica tirata "porti buono".
Ma, per essere più sicuri, i Catanesi fanno festa anche il 17 agosto, quando ricordano il ritorno in città delle reliquie della loro "Santuzza" (nel 1126).
il fercolo e alcune candelore

Naturalmente non mancano i festeggiamenti più "secolari" e l'immancabile dolcetto tipico: certe cassatelle popolarmete note come "minne di Sant'Agata" o "minnuzzi ri sant'Àjita" (cioè "mammelle di Sant'Agata") dall'aspetto che parla da sé.
 



più modestamente a Cornaredo si usa accompagnare la celebrazione con un semplice busto-reliquiario
(presente in Parrocchia da cento­cinquanta­quattro anni).
qualche foto del 2010


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dicembre 2014  (pag. 3008) - invio alla redazione di segnalazioni su questa pagina -
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