Parrocchia San Pietro apostolo in San Pietro all'Olmo
Parrocchia Santi Giacomo e Filippo in Cornaredo
San Carlo Borromeo

 
San Carlo Borromeo
vescovo
compatrono della Diocesi di Milano
(solennità: 4 novembre)

 

I Borromeo erano una famiglia nobile e ricca proprietaria - fra l'altro - della Rocca Borromea di Arona dove il 2 ottobre di quattrocento­ottanta­sei anni fa (1538) nacque Carlo; sua madre era Margherita Medici di Marignano, sorella di quel Giovanni Angelo Medici di Marignano che dal 1559 sarà papa Pio IV (nulla a che vedere con la più nota famiglia Medici di Firenze).
La Rocca Borromeo di Arona non va confusa con la gemella di Angera, anch'essa Borromea, che ancora oggi sorge sulla sponda opposta del Lago Maggiore. Quella di Arona fu in buona parte distrutta nel 1800 dall'esercito di Napoleone, essendo divenuto un presidio difensivo degli Austriaci dopo essere stata per secoli dei Borromeo e prima ancora dei Visconti (ma le sue origini risalgono ai Longobardi). Ai giorni nostri ne restano pochi ruderi.
Per la morte del padre, già da ragazzo e pur avendo un fratello maggiore, Carlo ebbe la responsabilità degli affari domestici ciò che non gli impedì di studiare diritto canonico e civile a Pavia dove poi, nel 1564, realizzò una struttura "elegante" per ospitare studenti universitari in condizioni disagiate ma meritevoli di sostegno.
Si tratta dell'Almo Collegio Borromeo che da quattrocento­sessanta­anni è ancora oggi uno dei più antichi e prestigiosi collegi in Italia.
Quella di fondare istituzioni del genere fu una costante di Carlo, anche quando sarà Cardinale chiamato a Roma da Pio IV e dopo ancora quando sarà Arcivescovo di Milano.
Il Papa lo volle vicino quando nel 1562 riavviò il Concilio di Trento i cui lavori erano sospesi da dieci anni; anche in quel frangente Carlo fu infaticabile lavoratore tanto che vengono ascritti a lui molti dei documenti del Concilio e in larga parte la stesura del Catechismo Tridentino (Catechismus Romanus).
"San Carlo istituisce i corsi di dottrina cristiana"
dipinto di Antonio e Giulio Campi, nella chiesa di San Francesco di Paola, Milano
Curiosità vuole che si rammenti l'abolizione - a Trento - di numerosi riti locali o particolari, con l'unica eccezione del rito ambrosiano.
Nel 1560 Carlo Borromeo fu nominato Amministratore Apostolico di Milano e poi nel 1564 (12 maggio) Arcivescovo e "ribaltò tutto" - si direbbe oggi - dopo un lungo periodo durante il quale non vi era stato un vescovo residente e la Diocesi aveva raggiunto un notevole degrado. Carlo impose una rigida disciplina nel clero e volle rafforzare la preparazione dei sacerdoti; fondò infatti diversi seminari (oltre a ospedali e ospizi, senza timore di affondare le mani nelle ricchezze di famiglia), stese norme importanti e si mantenne sempre vicino alle comunità della sua vastissima diocesi che percorse in lungo e in largo con numerosissime visite pastorali.
All'epoca la Diocesi abbracciava territori veneti, genovesi e perfino svizzeri, oltre a quella che oggigiorno è la Lombardia.
Carlo mostrò rigore anche nei confronti di quelle che oggi chiamiamo "autorità civili" con le quali ebbe a scontrarsi non poco; ma fu da un frate che si buscò un colpo d'archibugio, mentre stava pregando, colpo fortunosamente andato a vuoto (rimase solo un foro nella cappa magna, quell'ampio mantello rosso con strascico, simbolo del suo rango).
La vicinanza alla sua gente non venne meno neanche durante la celebre pestilenza del 1576/77 (chiamata per l'appunto la peste di San Carlo) durante la quale lui si prodigò enormemente per assistere la gente. Era finita da poco l'epidemia che l'Arcivescovo Carlo Borromeo consacrò il Duomo (il "nostro", che aveva preso il posto delle due precedenti cattedrali intitolate Santa Maria Maggiore e Santa Tecla [vedi]); si narra che la celebrazione avvenne, sì, con solennità ma anche un po' alla chetichella per evitare eccessivi assembramenti che ancora facevano paventare pericoli di contagio.
Questa epidemia non va confusa con quella più grave del 1630 descritta da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi, quando Arci­ves­co­vo di Milano era Federico Borromeo, cugino di Carlo.
Difficile scendere in dettagli; l'attività di questo giovane - anzi, giovanissimo - prelato appare eccezionale come organizzatore, fondatore, ispiratore di ogni genere di iniziative contrassegnate dal semplice suo motto Humilitas; al suo tempo fu indicato come modello da seguire e ora è considerato uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa per carità, dottrina, apostolato, pietà e devozione.
Dalle nostre parti l'Arcivescovo Carlo Borromeo il 6 marzo 1584 pose la prima pietra del Santuario di Rho, nel luogo ove sorgeva la cappelletta della Madonna della Neve che aveva pianto lacrime, iniziando ad operare miracoli.
        
lo stemma Borromeo, nello scurolo di San Carlo in Duomo e lo scurolo stesso (sul fondo si intravede l'urna con le sue spoglie)
a destra il pastorale e l'anello del Santo
La morte lo colse quando aveva solo 46 anni, il 3 novembre 1584. Fu canonizzato il 1° novembre 1610 da papa Paolo V e il 6 febbraio 1652 papa Innocenzo X ne estese la memoria a tutta la Chiesa.


San Carlo Borromeo è patrono - fra l'altro - della Lombardia e curiosamente di Monterey, in California, nonché dei seminaristi, direttori spirituali, catechisti, vescovi.
All'epoca di San Carlo non si parlava di "Lombardia" ma di "Ducato di Milano" (sotto dominio spagnolo); Arona si trovava nei suoi territori e infatti la Rocca ove San Carlo nacque era stata dei Visconti, già Signori di Milano.
Sono molte le comunità - anche di studio - intitolate al grande vescovo milanese. A Pavia è ancora attivo l'Almo Collegio Borromeo che ancora ospita circa 150 studenti e studentesse (ammessi mediante un selettivo concorso annuale, molto fieri di essere "borromaici") e promuove numerosissime importanti attività culturali anche "per l'esterno".
Il collegio è ospitato in uno dei più bei palazzi della Lombardia,
sulla riva del Ticino.

Siamo abituati a considerare San Carlo "tutto milanese". In realtà girellando per il mondo si trovano molte "cose" a lui intitolate; riportiamo un piccolissimo campionario di alcune chiese.
Vienna, Quebec (Canada), Anversa (Belgio, la "chiesa di Rubens"), Chonchi (Cile, monumento nazionale), Ottawa (Canada), Sydney (meglio: Waverley dove la chiesa è intitolata a Maria Immacolata e San Carlo) e Matanzas (cattedrale della città cubana; pazienza se la foto è vecchia di oltre 100 anni).
E dagli Stati Uniti (la fila sotto): Filadelfia (dove anche il Seminario Arcivescovile è intitolato a San Carlo), Hollywood, Detroit e New York (dove la chiesa di San Carlo è conosciuta anche come Cattedrale di Harlem)
       

Discorso a parte merita la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, a Roma, particolarmente legata alla Diocesi Ambrosiana.
Sorge nel luogo ove si trovava una cappella assegnata nel 1471 da papa Sisto IV alla Confraternita dei Lombardi, molto numerosi in città.
Nell'attuale Basilica viene conservata la preziosa reliquia del Cuore di San Carlo, donata dal cardinale Federico Borromeo nel 1614 (a destra)
Sotto: la grande pala d'altare realizzata nel 1690 da Carlo Maratta
"Gloria di SS. Ambrogio e Carlo"

Il "Sancarlone"
Federico Borromeo, cugino di Carlo e nuovo Arcivescovo di Milano, volle che fosse iniziata la costruzione di un "Sacro Monte" ad Arona che ricordasse la figura del suo grande predecessore.
E subito nacque anche l'idea di una grande statua; ma grande davvero, più un "colosso" che una "statua".
Il progetto fu affidato a Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano e la figura fu realizzata con lastre di rame riunite da chiodi e trattenute da tiranti in ferro, il tutto attorno ad una struttura muraria (pietre cementate). La figura fu modellata dagli scultori Siro Zanella di Pavia e Bernardo Falconi di Bissone; l'interno si può risalire fino alla testa.
Qualcuno sostiene che il colosso di Arona sia stato modello per la costruzione della Statua della Libertà, benché la struttura interna di quest'ultima sia in traliccio metallico progettato da Gustave Eiffel (quello dell'omonima torre) e non in muratura.
La costruzione del colosso fu conclusa nel 1698 e il 19 maggio fu solennemente benedetta dal cardinale Federico Caccia, Arcivescovo di Milano (insomma, quel gigante è lì da oltre trecento­venti­sei anni).
Inutile riportarne tutte le dimensioni, ma corre l'obbligo di citare almeno le principali:
- altezza totale: 35,10 m - la sola statua: 23,40 m (cioè come palazzo di sette piani)
- lunghezza del braccio: 9,10 m - lunghezza del solo dito indice: 1,95 m
- circonferenza del pollice: 1,00 m

L'immagine di San Carlo non poteva mancare nemmeno nelle nostre chiese.
(e infatti si trova sul lato destro della chiesa Santi Giacomo e Filippo, presso l'altare di San Mauro).


E in piazza? Eccola lassù, la statua di San Carlo, sulla colonna davanti alla chiesetta di Sant'Apollinare
(solo ..... un tantino più piccola del "San Carlone")
curiosità: in origine San Carlo reggeva la Croce, invece del pastorale classico, come si vede nell'immagine piccola, tratta da una vecchia cartolina

Un'altra curiosità, anch'essa dei tempi andati, quando si scomodava San Carlo per dire che era molto freddo: l'è gelà anca 'l Sancarlùn 'n piassa
Non solo. Uno dei quattro busti argentati di vescovi che vengono esposti sull'altar maggiore della parrocchiale di Cornaredo in occasione di talune feste e solennità contiene una sua reliquia (gli altri tre contengono reliquie di San Ambrogio e Sant'Eustorgio, anch'essi vescovi milanesi e di San Bartolomeo, apostolo; tutti affidati alla Parrocchia il 30 agosto 1867). Non solo: per le solennità maggiori (Natale, Pasqua, anniversario della Dedicazione della chiesa) sull'altare vengono poste statue argentate a figura intera contenenti reliquie di San Carlo, Sant'Ambrogio, San Francesco di Sales e Sant'Eugenio (statue presenti in Parrocchia dal 30 agosto 1910).
San Carlo Borromeo fu in visita pastorale a Cornaredo il 28 aprile 1570 (la Parrocchia allora era intitolata a Sant'Ambrogio, o quantomeno così scrisse lui nelle sue ordinationi e comprendeva ancora San Pietro all'Olmo).
Curiosità agrario-dialettale. Il granturco "arrivò" dall'America dopo che Cristoforo Colombo l'ebbe raggiunta nel 1492 e fu chiamato "turco" perché all'epoca si tendeva a chiamare così le cose che venivano da terre sconosciute; nella regione attorno a Milano trovò diffusione attorno al 1555 proprio per iniziativa di Carlo Borromeo, tanto che in molte campagne veniva volgarmente chiamato carlùn.

Il busto-reliquiario di San Carlo esposto sull'altare a Cornaredo
in occasione di alcune feste e un suo particolare.
Sotto: la statua-reliquiario esposta in occasione delle maggiori Feste.
Le autentiche delle reliquie, degli Arcivescovi Carlo Andrea Ferrari (Beato) [] e Luigi Nazari di Calabiana [] sono di per sé documenti importanti.


Una delle immagini di San Carlo che più si è impressa nella memoria dei fedeli ambrosiani, tramandata da svariate opere d’arte, è quella del vescovo che devotamente porta in processione per le strade della città colpita dalla peste la croce con il Santo Chiodo, per invocare la fine del flagello e la salvezza del popolo a lui affidato.
E nelle settimane di Quaresima 2011, quella croce che fu tra le mani del santo Borromeo - oggi conservata nella parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio a Trezzo sull’Adda - è tornata a percorrere le Zone pastorali della nostra Diocesi, in occasione della solenne Via Crucis presieduta dal cardinale Dionigi Tettamanzi.
Il Santo Chiodo, infatti, è una delle reliquie più importanti e venerate in terra ambrosiana. Si tratta di uno dei ferri della Croce del Redentore, che la tradizione vuole usato dall’imperatore Costantino come morso del suo cavallo e in seguito donato dall'imperatore Teodosio a Sant’Ambrogio. Custodito nel Duomo di Milano e conservato in un tabernacolo a oltre 40 metri d’altezza, nella volta in alto che conclude il coro, il Santo Chiodo è oggetto di un’antichissima e singolare liturgia nel sabato che precede la ricorrenza dell’Esaltazione della Croce, allorché viene prelevato dall’arcivescovo mediante una navicella del XVII secolo (conosciuta col nome di nivola - foto sotto - per il suo aspetto simile ad una nuvola), per essere poi esposto alla devozione dei fedeli.
Quando nell’agosto del 1576 le autorità proclamarono in modo ufficiale che il contagio della peste era penetrato a Milano, San Carlo si trovava fuori città, in una delle sue numerose visite pastorali. Prontamente, allora, l’Arcivescovo rientrò in città per organizzare l’assistenza spirituale e materiale, mentre le autorità civili si allontanavano abbandonando un popolo impaurito e stremato.
Spogliatosi di tutto ciò che gli era rimasto, il Borromeo usò persino gli arredi e i tendaggi dell’arcivescovado per aiutare chi aveva bisogno di aiuto. Ma mentre soccorreva i malati, San Carlo non tralasciava di pregare e di far pregare, promuovendo funzioni penitenziali, celebrazioni di Messe all’aperto (perché anche coloro che non potevano uscire dalle loro case potessero assistervi), processioni pubbliche.
Frate Giacomo da Milano, uno dei cappuccini che organizzò su impulso del vescovo l’assistenza agli appestati, scriveva che a queste processioni "eravi tutto il clero regolare e secolare, scalzo e con le corde al collo". Così faceva anche "il buon Cardinale", portando egli in più un "pesantissimo Crucifisso" e terminando, dal pulpito della cattedrale, con "una così divina predica che faceva crepare di pianto gli audienti".
Si parla di clero regolare per coloro i quali appartengono a ordini o congregazioni ("regola") e di clero secolare per gli altri, che dipendono dalla Diocesi.
Di queste processioni a Milano ne furono previste inizialmente tre che, partendo dal Duomo raggiunsero rispettivamente la basilica di Sant’Ambrogio, quella di San Lorenzo e il santuario di Santa Maria presso san Celso.
La terza fu la più solenne e drammatica, anche perché il Borromeo volle portare in quell’occasione proprio la croce con il Santo Chiodo e tutte le reliquie conservate a Milano. L’arcivescovo precedeva il popolo, come dice il Giussani, "con li piedi ignudi e con un aspetto tanto mesto e doloroso che moveva a gran pietà e pianto ognuno che lo mirava, imperocché s’era vestito della cappa pontificia paonazza e tirato il cappuccio sugli occhi".
Il Santo vescovo è ritratto con efficace espressività nel Quadrone del Duomo (di Giovanni Battista Della Rovere, detto Fiamminghino). Le processioni con il Santo Chiodo proseguirono poi anche nei giorni seguenti per volontà dello stesso San Carlo, che a distanza di alcuni anni, in una sua lettera pastorale, esortava i milanesi a ricordare come proprio "con quella santa reliquia, implorando la misericordia di Dio, fummo così mirabilmente e quasi all’improvviso liberati dalla pestilenza".
"L'Arcivescovo Borromeo visita gli appestati nelle campagne milanesi"
Dipinto del Cerano (Giovan Battista Crespi), in Duomo


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settembre 2011  (pag. 3028) - invio alla redazione di segnalazioni su questa pagina -
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