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Beato
Carlo Gnocchi
sacerdote
- memoria: 25 ottobre -
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L'apostolo dei mutilatini - così veniva chiamato don Carlo Gnocchi - nacque a San Colombano al Lambro il 25 ottobre 1902,
oltre centoventidue anni fa. Nel 1907 rimase orfano del padre (Enrico, marmista) e si trasferì a Milano e poi a Besana di Brianza con la madre (Clementina Pasta, sarta) e i due fratelli (entrambi morti di tubercolosi ancora giovani).
Carlo compì i suoi studi presso il Seminario Liceale di Monza e al Teologico di Milano, fino ad essere ordinato sacerdote nel 1925 (celebrò la Prima Messa a Montesiro, in Brianza, il 6 giugno).
Dapprima venne destinato come assistente in oratorio a Cernusco sul Naviglio e poi coadiutore nella parrocchia di San Pietro in Sala, a Milano, poi - nel 1936 - il cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, lo nominò direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane; qui don Gnocchi viveva fra i giovani anche oltre la scuola puntando anche su attività creative come la musica, il cinema, lo sport, in particolare lo sci e l’alpinismo. Si fece
pure promotore di iniziative rivolte a poveri ed ammalati, iniziative che coinvolsero tutto il Gonzaga.
La vita di don Gnocchi sembrava allora dedicata
all'educazione dei giovani; sul finire degli anni Trenta fu destinato (sempre dal
cardinale Schuster) all'assistenza spirituale degli universitari della Seconda Legione di Milano, comprendente in buona parte studenti dell'Università Cattolica e molti ex allievi del Gonzaga (si dice "per vaccinarli" contro l'ideologia imperante
in quegli anni).
Ma nel 1940 venne la guerra. Lui si arruolò come Cappellano Alpino volontario nel battaglione Val Tagliamento della Divisione Julia, destinato al fronte greco-albanese. Si racconta come ogni giorno
fosse riuscito a celebrare la Messa, su un piccolo altare snodabile offertogli dalle Dame della Carità del Gonzaga con il quale i contatti (epistolari e in aiuti materiali) non vennero mai meno.
Un testimone racconta la reazione del sacerdote al divieto di celebrare la Messa pasquale in prima linea: "lei sarà il colonnello, ma io sono il cappellano" (e la Messa fu celebrata proprio lì).
Rientrato dalla Grecia, don Gnocchi volle essere con gli Alpini della Divisione Tridentina nella campagna di Russia e fu qui una nuova svolta della sua vita. In particolare durante la disastrosa ritirata iniziata il 18 gennaio 1943 il sacerdote, colpito dalle tante mutilazioni, maturò il proposito di dedicarsi interamente alle vittime della guerra: gli invalidi e gli orfani dei suoi Alpini.
Il 5 aprile 1943 don Gnocchi rientrò finalmente all'Istituto Gonzaga dal quale ebbe sempre sostegno e solidarietà anche dopo che ne ebbe lasciato la direzione.
Ormai si era rivolto alla sua nuova opera di vicinanza e assistenza agli invalidi e mutilati e al conforto delle famiglie dei tanti "suoi Alpini" caduti e dispersi.
Con un taccuino zeppo di indirizzi girava le valli alpine per portare una parola alle famiglie di chi non era tornato, distribuendo un prezioso carico di catenine, anelli, lettere, piccoli ricordi riportati dalla Russia.
Al Cappellano don Gnocchi fu conferita la Medaglia d'Argento al valor militare. Mica facile la vita di quegli anni, anche per la situazione politica che il 17 ottobre 1944 lo portò a San Vittore (arrestato assieme al duca Marcello Visconti di Modrone) per aver aiutato diversi partigiani a sfuggire alla cattura. Il cardinal Schuster riuscì ad ottenerne la liberazione dopo un paio di settimane e il duca lo convinse ad un breve soggiorno in Svizzera.
una inconsueta foto di don Gnocchi "alpino"
Dopo la Liberazione il cardinale lo volle anche assistente spirituale degli studenti dell'Università Cattolica; poi finalmente don Gnocchi riuscì a mettere in pratica i suoi nuovi progetti raccogliendo i primi orfani e invalidi nella Casa di Cassano Magnago e nell’Istituto Grandi Invalidi di Guerra di Arosio. Don Carlo aveva ormai deciso che sarebbe
stato tutto per gli orfani degli Alpini, per i Mutilatini e in genere per l’infanzia motulesa.
In quegli anni erano parecchi gli ordigni bellici, abbandonati un po' dappertutto, dei quali restavano vittima dei bambini che imprudentemente ci giocavano (soprattutto bombe a mano inesplose).
Ma il sogno di don Carlo era un moderno "Istituto di avviamento al lavoro, di Arti e Mestieri", attrezzato sia per le cure sia per l’addestramento dei motulesi per il loro inserimento da "normali" nella vita di ogni giorno.
Sorse la Pro Infanzia Mutilata (12 ottobre 1948), che dapprincipio si occupò di mutilatini. Ma c'era il problema - a quel tempo gravissimo - dei poliomielitici, ciò che provocò una mutazione di indirizzo e alla nascita della "Fondazione Pro Juventute”. Siamo ormai nel 1952, settantadue anni fa.
Dell'ultimo suo sogno don Gnocchi vide solo poco più della posa della prima pietra, avvenuta il 22 settembre 1955
in via Capecelatro (San Siro) alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. La morte lo colse il 28 febbraio 1956. Si ricorda che l'ultimo gesto di carità fu la donazione delle sue cornee, che ridettero la vista a due ragazzi (grazie anche al professor Cesare Galeazzi che sfidò il divieto imposto dalla legge di allora).
L'AIDO Associazione Italiana Donatori d'Organo ha "fatto la sua parte" nella causa di beatificazione, così come l'A.N.A. Associazione Nazionale Alpini e non vi è dubbio che l'episodio comportò una spinta per l'approvazione della prima legge in materia da parte dello Stato Italiano.
Don Gnocchi è stato proclamato Beato il 25 ottobre 2009 con una solenne liturgia in piazza del Duomo;
il 24 ottobre 2010 è stata dedicata a lui la chiesa del Centro Santa
Maria Nascente in via Capecelatro (San Siro) e là sono state poi
traslate le sue spoglie (27 novembre 2010).
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piazza del Duomo durante la celebrazione e il monumento in via Capecelatro sotto: la statua realizzata in marmo di Candoglia, da Mauro Baldessari, collocata il 21 ottobre 2013 su una mensola all’esterno del Duomo, a lato della finestra della sacrestia capitolare. Don Carlo è raffigurato mentre solleva un bambino estratto dalla macerie. |
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Si racconta che le ultime parole del sacerdote furono "Amici, vi raccomando la mia baracca". Si tratta di una "baracca" che ora conta una ventina di centri di assistenza con quasi tremila posti letto e di oltre trenta ambulatori di riabilitazione.
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gennaio 2011 (pag. 3027) |
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