Anno 1480. Più precisamente era il 28 luglio di oltre cinquecentoquarantaquattro anni fa, quando una flotta turca di
circa 150 navi
partite da Valona (nell'odierna Albania, all'epoca sotto l'Impero
Ottomano) scaricò un esercito stimato in 18000 uomini sulla costa pugliese presso i laghi Alimini,
a pochi chilometri da Otranto; il
luogo ora si chiama Baia dei Turchi. Quell'esercito era comandato
da Gedik Ahmet Pascià per conto del sultano turco Mehmed II (Maometto II, soprannominato
Fātih, cioè "Il Conquistatore").
Il sultano era lo stesso che occupando Costantinopoli (29
maggio 1453, lui aveva 21 anni) aveva provocato la fine dell'Impero
Bizantino e "guardava" verso Occidente. Checché ne dicano alcuni storici moderni, sembra plausibile l'ipotesi che Maometto II intendesse dilagare verso nord fino a
ricongiungersi con gli altri musulmani ancora padroni di una parte della Spagna
(Regno di Granada, esistito fino al 1492).
Papa Sisto IV era preoccupato come già era accaduto a Callisto III che all'epoca dell'assedio di Belgrado (anno 1431, appena quarantanove anni prima di questi nuovi eventi) aveva tentato di promuovere una specie di lega santa contro i Turchi. Il tentativo di Sisto IV fu ancor più inutile del precedente perché i diversi Stati erano presi da altri interessi.
Callisto III è il Pontefice che fissò al 6 agosto la
celebrazione della Trasfigurazione del Signore proprio in
concomitanza di una vittoria militare sui Turchi di Mehmed II che stavano
risalendo il Danubio. [vedi ]
Sisto IV (al secolo Francesco Della Rovere) è quello "della Cappella Sistina".
Primo obiettivo dei Turchi fu Otranto, città
sotto dominio degli Aragonesi di Napoli, con una popolazione stimabile in circa dodicimila abitanti, discretamente fortificata ma ugualmente scarsamente difesa
anche perché molti dei soldati del presidio se la batterono subito alla chetichella di fronte a così
numerosi invasori, dei quali era nota la ferocia. La guarnigione non
superava comunque i 400 uomini, sprovvisti di cannoni.
Solo per pignoleria accenniamo al fatto che il primo obiettivo degli invasori serebbe dovuto essere Brindisi e di qui il Regno di Napoli,
programma stravolto da una certa forte tramontana che aveva condizionato la
navigazione spingendo le loro navi più a sud del previsto.
I Turchi intimarono la resa agli Idruntini ma si racconta che i capitani, tali Francesco Zurlo e Antonio de’ Falconi, in segno di rifiuto e di disprezzo gettarono simbolicamente in mare le chiavi della città.
Si contava sui soccorsi del Re di Napoli, Ferrante (o Ferdinando) d'Aragona,
al quale erano stati inviati messaggeri. Gli Idruntini
abbandonarono il borgo e si ritirarono entro le mura della cittadella.
Per due settimane (dal 29 luglio all'11 agosto) la cittadella
venne bersagliata da terra e dal mare con palle di pietra grosse come non se ne eranno ancora mai viste, sparate
dalle bombarde turche, fino a quando gli assedianti riuscirono ad abbattere una porta secondaria delle mura ed entrare in città; massacrarono tutti quelli che trovarono per le strade e nelle case
con incredibili crudeltà, facendo poi irruzione nella cattedrale dove l’Arcivescovo Stefano Agricoli
(secondo certe cronache: Stefano Pindinelli) stava celebrando davanti ad una folla di religiosi e
di altri superstiti che si erano asserragliati nella chiesa. I Turchi
uccisero tutti, salvo alcune donne e alcuni bambini ridotti in schiavitù. La
testa del presule venne portata per le strade come trofeo. Era l'11
agosto. Ahmet Pascià ebbe poi a fare della casa di Dio la stalla per i
suoi cavalli, secondo il volere del suo sultano (il quale sognava di
fare la stessa cosa anche con San Pietro a Roma).
A sinistra: alcune delle molte palle, ora utilizzate come elementi di arredo urbano (ma anche di abitazioni e giardini privati)
a destra: una bombarda (molto più recente e più piccola di quelle "di Otranto")
Alla strage iniziale erano sopravissuti 813 uomini che il giorno 14 furono condotti sul
vicino Colle della Minerva dove fu loro imposto di abiurare la fede cristiana per avere salva la vita.
Gli ottocento rifiutarono, seguendo l'esempio di un tessitore di nome Antonio Pezzulla
che fu il primo ad essere decapitato dopo aver esortato i concittadini a difendere il proprio
Credo; le cronache raccontano che il corpo senza testa di Primaldo,
così era soprannominato Antonio, si drizzò in piedi e così restò fino al
termine della strage ad onta degli sforzi dei Turchi per buttarlo a terra.
È significativo il fatto che a parte il vecchio
Primaldo non emergano altre individualità, nessun nome. Protagonista fu una folla nel suo complesso.
Uno dei carnefici turchi, Berlabei, profondamente scosso da quanto stava accadendo
gettò la scimitarra e si convertì egli stesso al Cristianesimo abiurando
pubblicamente la religione islamica e per questo fu dai suoi stessi compagni ucciso con l'orrendo supplizio del palo.
Gli invasori distrussero anche il vicino monastero di San Nicola di Casole, che fra l'altro ospitava una delle più ricche biblioteche dell'epoca. Del monastero restano pochi ruderi.
La resistenza di Otranto consentì la formazione di un esercito cristiano formato da Aragonesi
e truppe del Papa cui si aggiunsero alcuni rinforzi di altri Stati; la faccenda si risolse con la ritirata dei Turchi (10 settembre dell'anno dopo) anche per l'intervenuta morte del sultano
(3 maggio) seguita da lotte intestine per la successione.
I corpi degli ottocento martiri giacquero abbandonati sulla collina dove erano stati uccisi;
furono ritrovati ancora incorrotti dopo la cacciata dei Turchi e la maggior parte trovò sepoltura nella cripta della cattedrale mentre circa duecentocinquanta
di loro furono portati dal Re a Napoli nella chiesa di Santa Maria Maddalena poi detta "dei Martiri" da dove vennero poi traslati nella chiesa di Santa Caterina a Formiello.
Alcuni si trovano in altri luoghi, anche lontani (taluno dice che ve ne
sono anche nel nostro Duomo ma l'informazione non è esatta).
alcune teche con le reliquie nel Duomo di Otranto
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la chiesa di Santa Caterina al Formello, a Napoli, adiacente a Porta Capuana (non lontanto dalla Stazione Centrale)
l'immagine della strage nella grande pala d'altare, con Primaldo già decapitato ma ancora in piedi mentre i carnefici continuano la strage.
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Nel 1539 l’Arcivescovo Pietro Antonio de Capua istruì il processo per il riconoscimento del martirio degli Ottocento Idruntini mentre la gente ne invocava l’intercessione come patroni soprattutto durante gli altri assedi turchi del 1537 e del 1644, fino a che papa Clemente XIV li proclamò solennemente
Beati autorizzandone il culto (14 dicembre 1771). Dal 1711 le ossa dei martiri sono custodite in sette grandi teche nella Cattedrale, mentre in piccoli armadi sono conservati alcuni brandelli di carne ancora integri dopo oltre cinquecentoquarantaquattro anni. Sotto l’altare si trova il
masso utilizzato quale ceppo per la decapitazione.
Una testimonianza del processo di beatificazione accenna ai due assedi
appena citati: "L'una e l'altra volta comparvero sulle mura e per la spiaggia numerose schiere d'armati
[i martiri], alla vista de' quali quelli [gli assalitori], sbigottiti, subito s'allontanarono".
Il 12 maggio 2013 gli Ottocento sono stati proclamati Santi da papa Francesco.
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