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Domenica dell'Incarnazione
o della Divina Maternità della
Beata sempre Vergine Maria
- VI Domenica di Avvento - 22 dicembre
(nel 2025: 21 dicembre) - |
La ricorrenza
Già nei più antichi manoscritti, il rito ambrosiano ha, alla sesta domenica di Avvento, una festa mariana, la prima, e per molti secoli anche l’unica solennità che non intende celebrare un episodio particolare della vita della Madre di Dio, ma il grande mistero della divina e verginale maternità di Maria Santissima (che nel rito romano viene celebrata il primo di gennaio).
Giustamente la ricorrenza si denomina "solennità del Signore", perché il vero protagonista è il Verbo eterno del Padre che prende carne nel grembo purissimo della Vergine, aperto dal suo “fiat” al disegno di Dio, che la voleva Madre di Cristo.
(In effetti anche l'inclusione di questa pagina nel piccolo menu delle "pagine correlate", in alto in questa pagina, è una forzatura)
La sesta domenica di Avvento precede immediatamente il Natale (ma vedi la nota rientrata, qui sotto), e ci propone la contemplazione del mistero che associa strettamente la Madre e il Figlio che da lei sta per nascere: una Vergine che diventa Madre pur rimanendo vergine, un Dio che si fa uomo conservando la sua divinità.
Quando la vigilia di Natale cade di domenica, questa nel rito ambrosiano viene denominata domenica prenatalizia, esclusa dal computo delle sei domeniche di Avvento, che vengono così anticipate di sette giorni (così è stato nel 2023 e sarà di nuovo nel 2028).
Essendo la festa attestata verso l’anno 434, alcuni studiosi pensano che essa sia stata voluta dai Padri del Concilio di Efeso, che si tenne nel 431, in cui si definì solennemente il dogma della divina maternità di Maria. Si tratta quindi di una delle feste più antiche (sono trascorsi 1590/1593 anni)
Dunque la VI domenica è la primitiva festa mariana della liturgia ambrosiana e commemora il mistero dell’Incarnazione del Signore e della divina maternità della Vergine: è la mèta ultima del cammino di Avvento, prima che si passi al tempo natalizio vero e proprio. In questo giorno la liturgia ci invita infatti a contemplare il grande mistero del Verbo eterno del Padre che si incarna nel grembo della Vergine, mostratasi disponibile ad accogliere la volontà di Dio che la voleva Madre del Messia.
Un po' di storia
Fra tutti i titoli che vengono attribuiti alla
Madonna, quello di Madre di Dio è certamente il più grande. È
così che La invochiamo con la preghiera
mariana più diffusa, l'Ave Maria ("Santa Maria, Madre di Dio....").
Notiamo bene: Madre di Dio, non Madre di
Gesù. Può sembrare differenza da poco, ma c'è stato un tempo in cui
sulla questione si è dibattuto perfino in un Concilio Ecumenico, cioè nella
maggiore assise della Chiesa. Infatti fu il Concilio Ecumenico di Efeso,
aperto il 24 giugno 431, terzo
nella storia della Chiesa, a far propria l'affermazione che a Maria era
da attribuire il titolo di Theotókos: letteralmente, dal greco,
colei che genera Dio. Madre di Dio, appunto.
In realtà il Concilio fu convocato per fronteggiare alcune posizioni maturate su questo argomento, non già per stabilire una verità, già affermata in precedenza.
Efeso si trova sulla costa occidentale dell'odierna Turchia. Era accaduto che a Costantinopoli (ora Istanbul, a
quel tempo capitale dell'Impero e uno dei centri principali del Cristianesimo)
si negava l’unità delle due nature, quella divina e quella umana, nella
persona del Figlio di Dio, sostenendo che il Verbo fosse stato semplicemente
come "ospitato" nel corpo di Gesù-uomo; quindi Maria era da
considerare semplice "madre di Gesù" (Christotócos) cioè
madre della persona umana
o al massimo "accoglitrice di Dio" (Theodócos) e non
Madre di Dio.
Il Concilio di Efeso ribadì che in Gesù Cristo unica
è la persona, e questa divina e sancì che tutti devono riconoscere e venerare la B. V. Maria
come vera "Madre di Dio".
Le frasi in corsivo sono trascritte dall'enciclica Lux veritatis promulgata da papa Pio XI il
giorno di Natale del 1931 in occasione delle celebrazioni del XV centenario del Concilio. [il testo completo]
Portavoce e sostenitore dell'eresia era stato il
Patriarca di Costantinopoli, Nestorio (eresia nestoriana), pur se
non ne era stato lui il primo assertore. E Nestorio si era
molto impegnato, forte della
sua importante posizione e
delle sue capacità oratorie, per cui di proseliti ne aveva fatti molti.
Fra
coloro che si erano invece opposti spicca la figura del Patriarca di Alessandria (d'Egitto), Cirillo
(Santo e Dottore della Chiesa) che dapprima si era rivolto a Nestorio
per lettera, senza sortire risultato alcuno, poi si era rivolto al
papa, Celestino I (Santo).
Anche Alessandria rivestiva grande prestigio nel Cristianesimo del tempo.
Celestino aveva riunito a Roma un Sinodo e aveva imposto
a Nestorio di ripudiare subito la sua "perfida novità",
altrimenti sarebbe stato "cacciato dalla comunione di tutta la Chiesa
cattolica" e aveva incaricato il Patriarca Cirillo
di dare esecuzione "con forte vigore" a quanto deciso (citiamo ancora l'enciclica di Pio XI).
Nel frattempo si era mosso anche l'imperatore
Teodosio I, per via dei risvolti negativi che l'esistenza delle due fazioni
aveva nella vita pubblica, ed aveva convocato il Concilio cui si cennava dianzi.
Il particolare non stupisca; erano altri tempi. Il primo Concilio (a Nicea) lo aveva
infatti convocato l'imperatore Costantino e il secondo, a
Costantinopoli, lo stesso Teodosio I, noto anche come Flavio Teodosio o
Teodosio il Grande (venerato come Santo dalle Chiese orientali Ortodosse).
Il Papa inviò a Efeso, quali suoi legati, proprio
Cirillo con alcuni altri prelati, non solo per sollecitarne le decisioni
- che dava per scontate - ma anche perché curassero l'esecuzione di "ciò che già da Noi è stato stabilito" e
con tale posizione confermassero anche il primato di Roma e del Papa. Nestorio
non intervenne. Alla conclusione del Concilio la popolazione di Efeso accolse con giubilo i Padri
conciliari che avevano riaffermato la vera fede della Chiesa; e la
notizia si propagò celermente.
Efeso non fu una svolta, un cambiamento, fu però un
"punto fermo" che per la sua importanza è stato e viene citato
infinite volte
anche perché alla base c'è il Mistero dell'Incarnazione ("E il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" Gv 1,14); di qui
anche la duplice definizione ambrosiana della VI domenica di Avvento:
"dell'Incarnazione" o "della Divina
Maternità della Beata Vergina Maria".
Fra i tanti testi che hanno ripreso l'argomento in
tempi recenti ci piace
ricordare un'omelia di papa San Giovanni Paolo II [] (30 novembre 1979, proprio
a Efeso) e un discorso di papa Benedetto XVI
[] (udienza generale del 2 gennaio
2008, all'indomani della solennità della Madre di Dio nel rito romano).
Pio XI concluse l'enciclica Lux Veritatis disponendo
un "ricordo liturgico" della celebrazione e la pubblicazione di una
specifica "Messa della Divina Maternità" da celebrarsi in tutta la
Chiesa l'11 ottobre, anniversario della solenne definizione del Concilio
di Efeso nell'anno 431. Con la riforma liturgica del 1969 (San Paolo VI) la
celebrazione fu collocata al
1° gennaio, ultimo giorno dell'Ottava del Natale, con il titolo di Santa
Madre di Dio e con il grado di
solennità.
Ma abbiamo visto che il calendario ambrosiano
colloca la celebrazione all'ultima domenica di Avvento;
aggiungiamo che alcuni riti orientali la collocano in date diverse,
sempre prossime al Natale.
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Accanto al titolo due icone della tradizione orientale: a sinistra immagine consueta di Maria con un cerchio con il Bambino sul ventre, a destra il primo Conciilio Ecumenico, a Nicea.
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dicembre 2012 (pag. 3139) |
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