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Domenica delle Palme
Domenica di Passione
(7 giorni prima della Pasqua)
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Nel nord della Sardegna, dove la tradizione dell'intreccio è forte, con le foglie di palma viene confezionato addirittura il pastorale del Vescovo (Pàssiu de s’obìspu) utilizzato in quel giorno, oltre ad altri arredi.
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L'INGRESSO A GERUSALEMME La rubrica ambrosiana che apre il formulario della VI Domenica di Quaresima recita: «In questo giorno la Chiesa commemora Cristo Signore che dà inizio alla sua Passione con la cena di Betania e con l’ingresso in Gerusalemme».
Come il Rito romano, ma con scelte testuali e modalità celebrative diversificate, la liturgia ambrosiana accorpa in questo giorno due distinte tradizioni, quella del solenne ingresso di Gesù in Gerusalemme e quella del preannuncio della Passione che di lì a pochi giorni Gesù avrebbe sofferto: Domenica delle Palme nella Passione del Signore.
Originaria e più antica è la tradizione relativa alla Passione, con la proclamazione dell’unzione di Betania (cfr. Gv 12,1-11) come Vangelo, il carme del Servo sofferente come prima lettura (cfr. Is 53,1-12) e l’inno cristologico e pasquale della prima lettera di Pietro (cfr. 1Pt 2,21b-25) come seconda.
Più popolare e immediata dal punto di vista espressivo e impressivo – benedizione e distribuzione degli ulivi e delle palme; solenne processione verso la chiesa cantando antifone, salmi e inni; canto ai piedi dell’altare dei dodici Kyrie e dell’antifona "Benedictus qui venit" – è la tradizione relativa all’ingresso di Gesù nella città santa Gerusalemme.
Espressione sintetica, anche se vistosamente asimmetrica, dei due "misteri" celebrati nei distinti formulari di Messe di questo giorno è l’inno "Magnum salutis gaudium" [vedi testo], che viene previsto in tutta la sua ampiezza (13 strofe) come canto processionale ed è cantato in forma più breve – rispettivamente sei e nove strofe – ai Vespri (strofe 1-5.13) e alle Lodi (strofe 1.6-13). Attribuito a Papa san Gregorio Magno (590-604), esso connota ancora oggi in modo esclusivo la solenne celebrazione ambrosiana della Domenica introduttiva alla Settimana santa.
L’incipit è dato da un vigoroso invito alla gioia di fronte al mistero della redenzione operata da Gesù Cristo nella sua Pasqua: «O grande gioia di salvezza! Tutto il mondo si rallegri. Gesù, il Redentore dei popoli, guarì il mondo infermo ».
L’immagine del mondo “infermo” – orbem languidum, dice l’originale latino – travalica il tempo storico della venuta del Figlio di Dio sulla terra per raggiungere ogni generazione: noi, qui e adesso, siamo il mondo che Gesù guarisce con la sua redenzione.
Seguono due strofe dedicate agli avvenimenti di Betania, «sei giorni prima della festa di Pasqua»: la resurrezione di Lazzaro dopo tre giorni (II strofa) e l’unzione dei piedi di Gesù da parte di Maria (III strofa). Il gesto della donna è descritto con una particolare intensità narrativa, nella quale si dischiude il suo fortissimo valore profetico: «Maria prese una libbra di ottimo e puro nardo e unse i beati piedi del Signore, irrigandoli di lacrime».
Da qui in poi – ben sette strofe – l’autore narra, commenta e interpreta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, affascinato anzitutto dal mistero di umiltà-umiliazione che lì si manifesta: «Quale stupenda pietà! Quale mirabile clemenza divina! L’autore del mondo si degna di cavalcare un asinello» (V strofa). Il rinvio biblico è al profeta Zaccaria (Zc 9,9-10), proclamato nella prima lettura, che «preveggente, predisse in virtù dello Spirito Santo» (le strofe VI e VII). All’incedere umile e maestoso dell’eterno Re (cfr. la strofa VIII) si accompagna il movimento della numerosa folla, riletto dall’autore con i tratti di una solenne liturgia di lode: i rami verdi recisi dagli alberi; i mantelli stesi sulla strada; i fiori sparsi a tappeto lungo la via e soprattutto la grande acclamazione messianica: «Chi seguiva e precedeva, pieno di Spirito santo, acclamava: "Nel più alto dei cieli, osanna al figlio di Davide"» (IX strofa).
Lo stesso Spirito della profezia antica anima il grido di acclamazione della folla. Dalla città commossa di allora (cfr. la strofa X) alla Chiesa esultante di oggi il passo è davvero breve. Grazie all’azione liturgica in atto noi siamo ricondotti all’evento che celebriamo e il nostro canto di oggi si fonde con quello di un tempo: «Noi dunque corriamo tutti innanzi a tanto Giudice, portando palme di gloria, cantando con mente sobria» (XII strofa).
Claudio Magnoli
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marzo 2009 (pag. 3112) |
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